Nel 2020 la maggior parte delle conversioni non avviene al primo click. Sono le sessioni da traffico di ritorno ad avere il tasso di conversione maggiore e questo perché il percorso che porta un utente alla conversione richiede più passaggi e interazioni con il nostro sito. Per questo è fondamentale avere una strategia di retargeting strutturata in grado di intercettare l’utente nel posto e momento giusto… ma senza esagerare. 

Ecco cosa fare e cosa evitare per un retargeting che converte. 

  • Takeaways per un retargeting efficace
by ose M. Sánchez

Retargeting: cos’è e come funziona

Il retargeting, o remarketing è una forma di marketing online che si basa sulla pubblicazione di annunci pubblicitari su un pubblico che ha visitato o compiuto azioni sul nostro sito web (o su altri touchpoint proprietari). 

Negli anni le piattaforme pubblicitarie hanno trovato tecniche di profilazione sempre più efficaci che permettono agli advertiser di creare segmenti di pubblico a partire dal comportamento degli utenti che diventeranno audience target di messaggi pubblicitari mirati e personalizzati. 

Cosa intendiamo quando parliamo di retargeting?

Per capire appieno in che modo il retargeting può diventare una risorsa per il nostro business, qualsiasi sia la sua natura, è necessario prendere in considerazione il concetto di customer journey. 

All’interno del percorso che porta una persona dalla fase informativa (che spesso inizia con una ricerca esplicita su un motore di ricerca, un marketplace o altre piattaforme come YouTube) alla fase di acquisto, c’è un momento in cui l’utente avrà visitato il nostro sito web, letto un articolo del nostro blog, interagito con un nostro post sui social network o visto un video sul nostro canale YouTube.

In tutti questi casi le piattaforme pubblicitarie come Facebook Ads e Google Ads saranno in grado di memorizzare non solo il fatto che l’utente ha visitato il nostro sito web ma anche quali sono le azioni che ha svolto su di esso. 

Qui è importante sottolineare la presenza di struttura di tracciamento correttamente implementata in grado di acquisire le giuste informazioni sulle azioni on site degli utenti sul nostro sito web.

Queste informazioni diventeranno la base per la strategia di remarketing che avrà come obiettivo primario guidare l’utente all’interno di un percorso che ha come punto finale l’acquisto del prodotto o servizio promosso dal mio sito web.

Perché è importante il retargeting?

L’importanza del retargeting all’interno della nostra strategia di digital marketing si basa sul presupposto che, nella stragrande maggioranza dei casi, gli utenti target delle nostre campagne non realizzano una conversione alla prima interazione con il nostro sito web.

In altre parole, il percorso di conversione non è quasi mai lineare, ma si tratta di un percorso stratificato ed eterogeneo per modalità di fruizione del messaggio pubblicitario e momenti del funnel in cui riusciamo ad intercettare l’utente. L’importanza del retargeting risiede proprio nella possibilità di intercettare l’utente che ha già interagito con i nostri touchpoint in momenti diversi rispetto alle fasi di ricerca esplicita del prodotto.

funnel remarketing
Fonte: Pinterest

Retargeting o remarketing?

Prima di entrare nel merito di come fare retargeting in modo efficace è necessario liberare il campo da una ambiguità terminologica. Nel 2020 ci siamo abituati ad utilizzare i termini retargeting e remarketing come sinonimi ma in realtà questi due termini fanno riferimento ad attività distinte che hanno tuttavia una base comune: si tratta di attività di marketing dirette a utenti che in un modo o nell’altro sono già entrati in contatto con il nostro business

La differenza tra queste due attività risiede tuttavia nel fatto che con remarketing si intende un’azione di marketing basata sull’invio di email ad indirizzi presenti nel nostro database contatti mentre con retargeting ci si riferisce all’attività pubblicitaria basata sui cookie che registrano le interazioni degli utenti con i siti web, i social network o altri touchpoint. 

Una differenza “strategica” che si è assottigliata sempre di più negli ultimi anni quando attraverso le principali piattaforme pubblicitarie è diventato possibile creare segmenti di pubblico a partire da elenchi di email rendendo meno netta la distinzione tra le due attività. 

Retargeting comportamentale e segmenti di pubblico

Che si tratti di annunci Facebook o banner Display, uno degli aspetti più rilevanti del retargeting è la possibilità di personalizzare i nostri messaggi pubblicitari sulla base dei comportamenti messi in atto dagli utenti sul nostro sito. 

Prendiamo il caso di un e-commerce che vende prodotti di abbigliamento. Le segmentazioni del pubblico che visita il mio sito potranno essere diversificate: 

  • sulla base delle azioni come click sui bottoni, aggiunte al carrello, inizio d’acquisto
  • sulla base del tempo di permanenza su pagine specifiche del sito web
  • sulla base dei giorni dall’ultima visita registrata

L’architettura del retargeting sarà costruita, in altre parole, su assunti fatti a partire dal comportamento degli utenti sul sito che serviranno per personalizzare il messaggio pubblicitario con l'obiettivo di attrarre nuovamente l’utente sul mio sito e guidarlo fino alla conversione finale. 

Ad esempio, prendendo ancora il nostro nostro e-commerce di abbigliamento, potremmo pensare a una campagna che come target ha gli utenti che hanno aggiunto un prodotto al carrello negli ultimi 7 giorni e non hanno mai acquistato un prodotto. 

Su questo pubblico si potrebbe attivare una campagna retargeting sia su canali social che su rete Display di Google con l’obiettivo di incentivare l’acquisto offrendo uno sconto speciale dedicato al primo acquisto. 

Potremmo addirittura pensare di dare ulteriore valore a questa promozione assegnando uno sconto più alto rispetto agli sconti che potrebbero essere già disponibili sul sito web (ad esempio uno sconto percentuale sull’iscrizione alla newsletter). 

Ovviamente potremmo lanciare le nostre campagne con scontistica dedicata anche su un pubblico freddo (prospecting) che tuttavia avrebbe un potenziale di efficacia inferiore rispetto alla nostra campagna di retargeting. Questo perché nel caso della nostra audience personalizzata abbiamo un indicatore di interesse molto forte rispetto a un pubblico che non ha mai sentito parlare del nostro brand o dei nostri prodotti. 

Come fare Retargeting su Facebook e Google Ads

Da quanto detto, abbiamo parlato in particolare di due elementi centrali per ogni strategia di retargeting: il sito web e i segmenti di pubblico. Tuttavia c’è un terzo elemento che potremmo considerare la condizione di possibilità di ogni attività di retargeting: i canali pubblicitari. 

Ogni nostra possibilità di fare retargeting sarà infatti dettata dai canali che abbiamo scelto e che determinano: 

  • il modo in cui gestire i tracciamenti sul nostro sito web
  • il modo in cui possiamo creare segmenti di pubblico
  • i modi in cui possiamo creare campagne e i posizionamenti pubblicitari che ogni piattaforma ci consente di presidiare

Prima di entrare nel merito dei canali principali su cui fare retargeting è necessario fare una precisazione. Come abbiamo detto qualsiasi attività di retargeting è fortemente legata ai comportamenti di un utente sul nostro sito web. Questo significa che, nella nostra strategia, dovremo privilegiare l’architettura della nostre audience, le nostre segmentazioni e le leve che potrebbero funzionare nel guidare l'utente verso lo step successivo del funnel.

Partendo da questo presupposto, i canali pubblicitari devono servirci per disegnare la nostra strategia: 

  • a livello di tracciamenti, monitorando correttamente gli eventi necessari per costruire le nostre audience
  • a livello di architettura delle campagne e posizionamenti, scegliendo attentamente i canali da presidiare e il loro peso all’interno del nostro ecosistema pubblicitario

Ecco perché ora procederemo con una panoramica delle due principali, e più usate, piattaforme pubblicitarie per fare retargeting; Facebook Ads e Google Ads.

Retargeting su Facebook

Nella sezione “Pubblico” dell'account pubblicitario Facebook mette a disposizione 2 origini per la creazione di pubblici personalizzati

  • origini proprietarie come il nostro sito web o Database clienti
  • origini native: Facebook e Instagram e l’attività della nostra audience su questi social network
retargeting facebook

Segmenti basati sulle origini proprietarie

Tramite il Facebook Pixel è possibile monitorare l’attività degli utenti sul nostro sito web, o sulla nostra app e  creare eventi personalizzati su cui basare il nostro pubblico.

All’interno della campagna di retargeting su Facebook potremmo diversificare in 3 adset separati le audience create a partire da eventi specifici del funnel di conversione come ad esempio: 

  • la visualizzazione di un prodotto presente nel mio catalogo
  • l’aggiunta al carrello di un prodotto
  • l’inizio del percorso di checkout per completare la transazione finale

Come possiamo vedere si tratta di 3 eventi che segnalano 3 comportamenti diversi e che dunque avranno come audience target persone che si trovano in momenti diversi del percorso di acquisto. 

In fase di creazione della campagna dovremo quindi tener conto di questa diversità, da un lato impedendo la sovrapposizione dei pubblici - escludendo di fatto dal pubblico più generico l’audience più specifica - dall’altro diversificando il nostro messaggio pubblicitario sulla base del momento in cui si trova il potenziale cliente

Inoltre, sulla base dei nostro obiettivi (come ad esempio quello di generare nuovi clienti), potremmo scegliere di escludere anche il pubblico creato a partire dagli utenti che hanno già effettuato un acquisto sul nostro sito web e questo pubblico potrà essere creato a partire dall’evento tracciato con il Pixel oppure a partire dal database clienti a nostra disposizione. 

Diverso il discorso se il nostro obiettivo fosse quello di generare acquisti reiterati su utenti che hanno già acquistato il nostro prodotto o servizio. In questo caso potremmo sfruttare le nostre audience, o il nostro elenco clienti per creare campagne di remarketing su questo pubblico specifico.

L’importanza di lavorare su segmenti di pubblico è particolarmente evidente in occasione di eventi promozionali stagionali, come i saldi o il Black Friday. In questi casi una delle strategie più avventate potrebbe essere quella di promuovere su un pubblico freddo una scontistica che, per il momento in cui viene proposta e rispetto all’audience a cui viene proposta, non rappresenterebbe realmente una leva in grado di generare acquisti. Questo perché il nostro messaggio sarebbe indistinguibile da quello degli altri competitor che in quello stesso periodo su quello stesso utente, o gruppo di utenti, stanno eseguendo la stessa azione pubblicitaria con le stesse leve di marketing.

Diverso il discorso se scegliamo di orientare le nostre campagne su un pubblico sufficientemente ampio di già-clienti che quindi hanno superato la fase di conoscenza del brand e potrebbero esser più facilmente convinti (cioè ad un costo di acquisizione inferiore) rispetto ad un pubblico che non ha mai avuto alcune interazione con il nostro business.

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Segmenti basati sulle origini di Facebook 

Oltre alle fonti esterne proprietarie, Facebook mette a disposizione anche le fonti native permettendo agli advertiser di costruire segmenti di pubblico a partire dalle interazioni con i contenuti pubblicati sulle pagine Facebook o sui profili Instagram. 

Analogamente alle fonti proprietarie, l’aspetto significativo risiede nella possibilità di proporre contenuti promozionali ad un pubblico che ha già interagito con i contenuti del mio piano editoriale; visualizzando un video, commentando o aggiungendo una reazione ad un mio post. 

Tuttavia, è bene notare un’importante differenza. Un utente che visualizza un prodotto, lo aggiunge al carrello o addirittura avvia il processo di checkout ci sta dicendo qualcosa di molto forte rispetto alla sua predisposizione all’acquisto  del nostro prodotto e quindi al momento, avanzato, del funnel in cui si trova. 

Un utente che invece interagisce con i contenuti pubblicati sui social dice qualcosa di decisamente più debole perché la sua reaction o il suo commento potrebbe riferirsi non al prodotto promosso o mostrato nel video ma al contenuto stesso. 

L’utente potrebbe aver messo like perché gli piace quello che vede ma non perché è interessato ad acquistare quello che vede. 

Questo significa che le audience create a partire dalle interazioni con i contenuti pubblicati possono essere un’importante risorsa nell’individuare utenti che già conoscono il nostro brand, che sono dunque all’inizio del funnel e che hanno già superato lo step di Awareness.

Non solo, perché la tipologia di contenuti con cui l’utente ha interagito può essere sfruttata per creare segmenti di pubblico più specifici su cui veicolare messaggi pubblicitari verticali su una determinata categoria di prodotti selezionando solo determinati contenuti e non altri. 

Questo a sua volta può essere funzionale per creare annunci pubblicitari sempre più specifici sulla base degli insight forniti dalle interazioni degli utenti con i contenuti del nostro piano editoriale (es. soggetto, copy, leve comunicative, ecc.)

Remarketing su Google Ads

Molte delle logiche per creare campagne di retargeting e remarketing discusse per Facebook sono ovviamente applicabili anche per Google Ads. 

Tuttavia, come detto sopra, la scelta delle piattaforme pubblicitarie determina anche le possibili azioni pubblicitarie che potremo mettere in atto. 

Google Ads o Google Analytics per la creazione di segmenti di pubblico

Una prima grande differenza è rappresentata dalle sorgenti che Google mette a disposizione per la creazione di segmenti di pubblico. Se infatti nel caso di Facebook il sistema di tracciamento e gestione del pubblico è unico, il Facebook Pixel, nel caso di Google abbiamo due possibili strade: usare Google Analytics e importare in Google Ads i nostri eventi di conversione e segmenti di pubblico oppure impostare tutto a livello di account pubblicitario implementando direttamente il tag all’interno del sito senza passare da Google Analytics. 

Entrambe le soluzioni hanno pro e contro sia nella gestione delle audience che nella gestione degli eventi di conversione. 

Se infatti Google Analytics consente di creare segmenti di pubblico profilati a livello di comportamento on-site, escludendo ad esempio le sessioni con un basso tempo di permanenza sul sito, Google Ads fornisce l’informazione sulle view-through conversion, ovvero sulle conversioni che si sono verificate dopo che i nostri annunci Display hanno ottenuto un’impressione.

Fortunatamente un’opzione non esclude l’altra e il nostro consiglio è quello di utilizzare entrambi i sistemi di creazione delle audience. 

I diversi posizionamenti pubblicitari di Google Ads

Caratteristica generale di Google Ads è la diversità di posizionamenti pubblicitari che è possibile presidiare. Questa eterogeneità si traduce nella possibilità di intercettare l’utente in momenti diversi della sua esperienza sul web e, nello specifico quando parliamo di remarketing su Google Ads, nella possibilità di intercettare il potenziale cliente in diversi momenti della sua customer journey. 

posizionamenti remarketing

In particolare, Google Ads consente diverse forme di retargeting: 

  • Su Rete di Ricerca attraverso la creazione di campagne RLSA (Remarketing List on Search Ads) con cui scegliamo di mostrare il nostro annuncio di testo solo ad utenti che effettuano una ricerca specifica, sulla base delle nostre keyword target, e fanno parte dei segmenti di pubblico che abbiamo scelto come pubblico target per la nostra campagna, o Adgroup, come nel caso degli utenti che hanno già visitato il nostro sito. 

Questa strategia può rivelarsi particolarmente efficace nel caso di contesti particolarmente competitivi e costosi dove partecipare alle aste può significare dover competere con cpc molto elevati. Sfruttare le RLSA significa limitare la pubblicazione dei nostri annunci solo ad utenti che già conoscono il nostro brand e che dunque potrebbero avere maggiori possibilità di convertire.

  • Su Rete Display attraverso la pubblicazione di annunci display su siti web del circuito AdSense. Si tratta di una delle prime forme di retargeting introdotte da Google nel 2010 e che, sebbene con cambiamenti in termini di formati pubblicitari e tipologie di targeting, mantiene un ruolo centrale in ogni strategia di retargeting. 

In ottica e-commerce, ma non solo, è particolarmente rilevante il Remarketing Dinamico. Se infatti abbiamo un feed di prodotti che, in fase prospecting stiamo promuovendo con campagne Shopping, possiamo utilizzare lo stesso feed per pubblicare su Rete Display i prodotti all’interno del mio catalogo che sono stati visualizzati da un utente. Questa opzione consente un elevato grado di personalizzazione del messaggio pubblicitario massimizzando le possibilità di conversione delle nostre campagne di remarketing.

  • Su Rete Discovery abbiamo delle possibilità di targeting analogo alla Display con un’importante differenza relativa ai posizionamenti che è possibile presidiare. Se infatti con la Display pubblichiamo annunci su siti esterni la Rete Discovery rende disponibili posizionamenti proprietari di Google come YouTube, Gmail e Google Discover, il feed dell’App Google

Come per la Rete Display anche nel caso della Discovery è importante sottolineare il ruolo chiave all’interno di una strategia di remarketing dinamico. 

Infine, anche per Google Ads viene data la possibilità di creare segmenti di pubblico a partire da liste di contatti all’interno del proprio database con la differenza che Google ha delle politiche maggiormente selettive (in termini di spesa annua, storicità e affidabilità dell’account) rispetto alla possibilità di accedere a questa feature.

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Il retargeting non è solo su Facebook e Google

Abbiamo preso in considerazione le opportunità fornite dalle  due principali piattaforme pubblicitarie ma, quando si parla di retargeting, è bene sottolineare che sono molteplici le piattaforme che possiamo includere all’interno della nostra strategia, sia social (come nel caso delle Twitter Ads o delle Linkedin Ads) sia SEA (come nel caso delle Bing Ads) sia programmatic (come nel caso del native o di altre piattaforme che non si basano unicamente sul circuito AdSense).

La scelta di una piattaforma piuttosto che un’altra dipenderà in particolare: 

  • dalle possibilità di intercettare il mio pubblico target sul canale presidiato
  • dall’efficacia del canale rispetto al momento del funnel e alla predisposizione dell’utente a convertire mentre si trova su quel canale
  • dai costi della piattaforma. In generale infatti il remarketing ha dei costi più alti in termini di CPM e CPC rispetto ad un’attività prospecting. Questo significa che, per piattaforme come Linkedin Ads, tradizionalmente più care rispetto ad altri social dovremo valutare attentamente la possibilità di attivare campagne remarketing

Leggi anche: Google Analytics VS Facebook Analytics

Takeaways per un retargeting efficace

Al termine di questa panoramica sull’importanza del retargeting per la nostra strategia digital, ecco alcune considerazioni conclusive per un retargeting efficace.

1) Strategia user-based

Al centro di ogni strategia di retargeting ci sono le persone e il loro comportamento sui siti web. Questo significa che prima ancora della scelta dei canali pubblicitari sarà cruciale il modo in cui creiamo i nostri segmenti di pubblico ovvero i nostri assunti su quale sia la fase del funnel in cui si trova l’utente e il modo in cui il retargeting deve agire per convincere l’utente ad entrare sul nostro sito e completare il percorso di acquisto.

2) Non c’è retargeting senza prospecting

Abbiamo parlato finora di come gestire cluster di utenti che in un modo o nell’altro sono entrati in contatto con i nostri touchpoint. Tuttavia è necessario sottolineare che qualsiasi campagna di retargeting sarà inefficace se le nostre campagne prospecting lavorano sul target sbagliato. 

Questo è particolarmente vero nel caso di un retargeting di primo livello che lavora sugli utenti che semplicemente visitano il sito web o su utenti che interagiscono con i contenuti pubblicati sui social network aziendali. 

Se ad esempio il nostro retargeting di primo livello è riferito solo ad utenti che visitano il blog e leggono dunque contenuti informativi, riguarderà utenti che potrebbero essere interessati al prodotto ma che non stanno attivamente pianificando l’acquisto

Un retargeting costruito male sarà poco efficace all’interno del nostro ecosistema pubblicitario ma molto spesso la sua mancata efficacia dovrà essere corretta ad un livello precedente e cioè nelle nostre campagne prospecting.

3) A nessuno piace essere disturbato (il problema della frequency)

Da advertiser a stalker il passo è breve. Che si tratti di Google Ads, Facebook Ads o qualsiasi altra piattaforma è importante monitorare attentamente il limite di impressioni giornaliere degli annunci. 

Una sovraesposizione agli annunci pubblicitari può infatti annoiare l’utente che finirà per mal sopportare il nostro brand e la nostra pubblicità. 

4) Il cpa è globale

Il remarketing è solo una parte di una struttura pubblicitaria complessa che cerca in momenti diversi di convincere le persone ad acquistare i nostri prodotti. La complessità di questa struttura fa sì che il nostro investimento pubblicitario sia distribuito su campagne e piattaforme diversificate. 

Inoltre come abbiamo detto, il retargeting è direttamente influenzato, se non addirittura determinato dalla nostra attività prospecting.

Per questo motivo è importante considerare i costi per conversione non delle singole campagne separate le une dalle altre ma come un unicuum dove le due fasi (prospecting e retargeting) concorrono a generare la conversione finale ed è in quest’ottica che dovrà esser letto il dato sul costo per conversione.

In altre parole, un costo per conversione basso per il retargeting rispetto al prospecting il più delle volte non è indice di un cattivo funzionamento o setup del nostro prospecting ma con molta probabilità un’indicazione sulla natura del funnel che richiede più interazioni per convertire e non si esaurisce alla prima interazione. 

5) Quanto dura il retargeting?

Sulla base delle piattaforme utilizzate avremo la possibilità di popolare le nostre liste di pubblico con utenti che hanno visitato il nostro sito web fino a 540 giorni fa (su Google Analytics, 180 per Facebook). 

Tuttavia, questa possibilità tecnica non implica necessariamente un’opportunità strategica. Un utente che ha visitato il nostro sito web mesi, o addirittura anni fa, molto probabilmente non sarà più interessato ai nostri prodotti o servizi o perlomeno non attualmente. 

Come ripetuto più volte nel corso di questa guida il retargeting è un’attività di marketing online che si basa sui comportamenti degli utenti sui nostri touchpoint. 

Questo significa che potrebbe aver senso su un pubblico che attinge molto indietro nel passato - ad esempio costituito dagli utenti che hanno effettuato almeno un acquisto -, mentre per un pubblico creato a partire da comportamenti più “deboli” come una product view o un’aggiunta al carrello è importante limitare la membership duration degli utenti alla nostra lista a periodi più brevi (14 o 30 giorni) cercando di essere visibili nei momenti in cui saranno massime le possibilità di generare una conversione. 

In definitiva, una strategia di retargeting può essere un’arma a doppio taglio. Un’importante risorsa per guidare le persone verso azioni target sul nostro sito ma anche una strategia poco efficace che può portare a disperdere budget e annoiare il nostro potenziale cliente.