Tableau, società internazionale di sviluppo software per gestire, rappresentare e visualizzare dati, ha identificato il data storytelling come uno dei principali Data trends del 2020.
Secondo il report dell’azienda, la tendenza a organizzare i dati all’interno di una struttura narrativa sta prendendo sempre più piede. E - si legge nell’analisi - alla narrazione dei dati è spesso associata una forma interattiva di fruizione che permette quindi agli utenti di entrare attivamente a far parte della storia.
Ma perché questa tendenza? La risposta è semplice: le storie piacciono, e i brand puntano a regalarci esperienze memorabili e autentiche, non importa quale sia il messaggio. Il data storytelling è quindi per le aziende un modo efficace di trasmetterci informazioni coinvolgendoci molto di più rispetto a quanto potrebbero fare semplici numeri.
Eccone un esempio che in tanti ricordiamo, il “Wrapped 2019” con cui Spotify ha raccontato agli utenti tutta la musica che hanno ascoltato durante l’anno in un modo decisamente memorabile.
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Storytelling: cos’è di preciso?
Prima di scavare nei meandri del data storytelling, partiamo da una definizione più ampia di un termine molto usato ma non così semplice da comprendere.
Fare storytelling significa veicolare contenuti e valori di un brand e del suo pubblico attraverso schemi narrativi ricorrenti e riconoscibili. Questo approccio può concretizzarsi in un singolo elemento comunicativo (ad esempio la pagina di un sito o un post social) o in un progetto strategico più ampio, coerente con brand identity, tone of voice, posizionamento ecc.
Come dice benissimo Christian Salmon nel suo Storytelling. La fabbrica delle storie:
E come riuscire a produrre un “effetto di credibilità”, strutturando quindi un progetto di storytelling che funziona?
- Il punto di partenza, imprescindibile e fondamentale, è parlare la stessa lingua. Di chi ci ascolta o legge in quel momento, di chi sta fruendo della nostra narrazione (verbale o visiva che sia) e anche di chi potrà farlo in futuro: insomma, utilizzare il giusto tono di voce. Questo presuppone una attenta e lunga fase di analisi e ascolto, del pubblico e del contesto.
- E poi, non c’è una buona storia senza una buona progettazione. Questa fase consiste nel selezionare e scegliere gli schemi narrativi più adatti al contenuto da raccontare, in linea con gli obiettivi di comunicazione.
- A questo punto è il momento di chiedersi: chi sono i protagonisti della nostra storia? Qual è il messaggio principale, il contesto, la missione, gli oggetti magici, la morale (se c’è)? E finalmente… penna in mano: è il momento creare!
Data storytelling, ovvero come raccontare i dati (senza annoiare)
Anche i dati si possono raccontare? Be’, qualsiasi cosa si può narrare. E farlo con dei contenuti tipicamente asettici e noiosi come i dati può essere davvero interessante e stimolante.
Vediamo insieme perché e come.
Perché raccontare i dati?
Partiamo da un fatto indiscusso: le storie piacciono a tutti, da sempre. Che ce ne rendiamo conto o meno, tutti noi siamo attratti dalle storie e, quando stiamo per ascoltarne una, riconosciamo subito di essere di fronte a una narrazione.
Questo aspetto ha che fare con l’importanza del “parlare la stessa lingua” che citavamo poco sopra, e rivela anche uno dei poteri magici del racconto: i mezzi per comprendere e decodificare i messaggi delle storie sono dentro di noi, innati e sempre pronti ad “attivarsi” a ogni esperienza narrativa.
Ciò accade perché le storie seguono modelli ricorrenti, condivisi e universali: gli archetipi.
Ed è proprio per questo che ci piacciono tanto.
I motivi per cui vale la pena fare data storytelling sono gli stessi per cui sempre più brand scelgono di fare dello storytelling una vera strategia di comunicazione. Le storie:
- Ci coinvolgono. Mentre le informazioni dettagliate attivano solo le due aree del cervello adibite al linguaggio (Broca e Wernicke), le storie studio di Stanford ha rivelato che il 63% degli studenti ricorda subito le storie. Ma solo il 5% riesce a memorizzare una statistica.
Fare data storytelling - quindi - permette di trasformare contenuti noiosi, privi di contesto biografico e di significato, in contenuti memorabili che veicolano informazioni significative e si inseriscono in un immaginario condivisibile, creando un’esperienza immersiva.
In cosa consiste il data storytelling
L’espressione data storytelling è spesso associata alla visualizzazioni dei dati e alle infografiche. Il data storytelling viene quindi interpretato come una semplice organizzazione visiva dei dati che sia efficace e impattante. Ma è molto di più.
Lo storytelling dei dati è un approccio strutturato per comunicare insights provenienti dai dati e comporta una combinazione di tre elementi chiave: dati, immagini e narrazione.
Quindi, come strutturare i dati in una narrazione coinvolgente? Combinando questi tre elementi in modo incisivo.
Quando la narrazione è associata ai dati, aiuta a spiegare al pubblico cosa succede e perché è importante una particolare intuizione. Spesso, per apprezzare appieno un’intuizione saranno quindi necessari commenti e contestualizzazione.
Le immagini possono illuminare il pubblico su insights che non vedrebbero senza grafici, foto o illustrazioni. Senza il supporto visivo, molti spunti interessanti rimarrebbero nascosti (e dimenticati) nelle colonne Excel.
Infine, quando la narrazione e le immagini si fondono insieme, possono coinvolgere o addirittura intrattenere il pubblico. E quando si combinano le immagini e la narrazione giuste con i dati giusti, si ha una storia di dati che può influenzare e guidare il cambiamento.
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Esempi belli di data storytelling su statistiche e attualità
Ecco adesso qualche bellissimo esempio di data storytelling, per entrare nel vivo. I progetti che riporto sono tutti finalisti dei Malofiej Awards 2020, considerati il premio Pulitzer per i progetti di infografica a cui partecipano ogni anno testate giornalistiche, enti pubblici e privati da tutto il mondo.
E quindi… che l’esperienza abbia inizio!
1. Stiamo perdendo le vittime di violenza sessuale?
Questo progetto australiano mette in luce il problema della violenza sessuale sulle donne nel paese, evidenziando come spesso le denunce sono molto inferiori rispetto ai reati e come troppe volte i processi finiscano per non dare ragione alle vittime.
L’aspetto che colpisce di più di questo racconto è la sua incisività e il coinvolgimento che riesce a creare.
Questo effetto quasi magnetico è dato da più elementi:
- La combinazione di più elementi comunicativi: foto, testo, tracce audio, illustrazioni, animazioni.
- La forte caratterizzazione delle protagoniste di questa storia: le donne. Ogni persona ha un volto, una voce, una personalità.
- Il grandissimo peso dato al contesto che, anziché “rubare la scena” ai dati, li valorizza e li mette in risalto, rendendoli davvero memorabili.
2. Quali bambini vengono adottati (e quali no) in Brasile
Metafore, metafore e ancora metafore: quelle utilizzate per raccontare la storia dei bambini brasiliani in adozione sono semplicissime e allo stesso tempo potentissime.
È semplicemente impossibile dimenticare questo racconto una volta dato anche solo uno sguardo, perché parla con un linguaggio che arriva proprio a tutti e ha il potere di non lasciarti indifferente, neanche un po’.
Il punto forte di questo progetto è senza dubbio la sua natura interattiva:
Se si prova a cliccare su quel bottone, ecco che questi fiori gialli si animano e dopo pochi secondi possiamo “leggere” i dati relativi ai tempi di adozione dei bambini brasiliani guardando un prato fiorito. Ogni variabile riguardo al bambino (età, condizione psicofisica e presenza o meno di fratelli) viene rappresentata con un particolare della pianta.
Grazie a una breve legenda iniziale che ci aiuta a interpretare queste informazioni, siamo catapultati in un’esperienza immersiva. Il fatto che questa cominci con un’azione da parte nostra, un’interazione, ci fa da subito entrare nella narrazione e ci rende partecipi della storia.
Per questo, tutti i dati e le informazioni che incontreremo successivamente avranno un maggiore impatto su di noi: perché adesso questa storia è diventata anche la nostra.
3. Se tu governassi il mondo
Quali sono i paesi governati da una monarchia? Quante governatrici donne esistono? Come è stato distribuito il potere lungo gli anni nelle varie nazioni? Le risposte a tutte queste domande (e a molte di più) non sono altro che dati. Tanti e potenzialmente subito-dimenticabili dati.
Ma la storia cambia se il protagonista diventi tu: a quel punto è impossibile dimenticare.
Ad esempio, io nel campo iniziare ho selezionato di essere una femmina di 27 anni Italiana, ed ecco uno dei dati che mi è apparso:
Anche qui, la forza della narrazione sta nel trasformare cose che non ci riguardano - o ci riguardano poco - in elementi che hanno a che fare con noi.
“You are the white dot” è la frase che appare all’inizio dell’esperienza interattiva e personalizzata. Come a dire: tu sei questo, tutta la storia (e tutti i dati) che sto per raccontarti sono narrati dal tuo punto di vista.
Io non mi dimentico facilmente di essere stata un pallino bianco per un giorno, e voi?