Probabilmente, scorrendo lo streaming del vostro Instagram, ne siete già rimasti vittime: brand che magari vendono un prodotto solo, ma lo fanno così bene da farvi venire una voglia incredibile di cliccare subito sul tasto “Acquista”. Potrebbe essere uno spazzolino, un rasoio, un materasso o un bagnoschiuma: prodotti semplici ma che, rappresentati nella loro unicità, sembrano essere finalmente perfetti, rivoluzionari, incredibili.
La maggior parte di questi brand comparsi dal nulla sono tecnicamente definiti D2C, ovvero Direct To Consumer. I brand D2C sono così definiti perché promuovono e vendono un bene direttamente al consumatore finale, attraverso il proprio eCommerce, senza intermediari. Spesso disegnano il prodotto in questione insieme alla community e, evitando intermediari, riescono a creare fortissimi rapporti di fidelizzazione.
Prendete lo spazzolino Quip, per fare un esempio: sembra un normale spazzolino elettrico, che strizza l’occhio ai profili Instagram degli influencer. Questo spazzolino, però, si acquista solo sul sito ufficiale, sottoscrivendo un abbonamento che invia una testina di ricambio ogni tre mesi, insieme a un tubetto di dentifricio e a un filo interdentale. In pratica Quip crea un rapporto esclusivo con i suoi clienti, creando una fidelizzazione senza pari, che ricorda più un abbonamento a Netflix che un semplice strumento per la pulizia dei denti.
Di prodotti e servizi come Quip ce ne sono ormai a centinaia, e il D2C sembra il futuro dei nuovi brand o degli spin-off di marchi già consolidati sul mercato. Ricordiamoci infatti che non solo le startup sono D2C: quando Disney crea una piattaforma come Disney+ per far vedere i suoi film, di fatto fa D2C, quando Nike investe tutto sull’eCommerce e sui negozi a marchio Nike, affianca alla grande distribuzione una componente D2C, che usa anche per fornire dati aggiuntivi ai suoi partner.
Sicuramente non è tutto oro quello che luccica nel magico mondo del D2C, ma a una mente aperta questo settore regala certamente spunti e idee da portare nelle nostre strategie. In questo nuovo articolo, quindi, potremo capire insieme vantaggi e svantaggi di questo filone del commercio.
Da grandi poteri derivano grandi responsabilità
Come tutte le “mode” del momento, anche quella del D2C va sempre presa con le pinze: come analizza Wesley Chai di Tech Target ci sono grandi opportunità ma anche diversi rischi, quando si prova a centralizzare tutta la catena di valore del proprio brand. Dato che ci piace vedere il bicchiere mezzo pieno, iniziamo elencando i punti di forza più evidenti:
- Riducendo gli intermediari, il D2C ha un controllo maggiore sui profitti, con margini più soddisfacenti.
- C’è sicuramente un miglior focus sulla conversione. Quando vendi direttamente il tuo prodotto, infatti, ti focalizzi al 100% sul tuo successo. Un rivenditore come Amazon, invece, non ha lo scopo di massimizzare i tuoi profitti… ma i suoi: rischieresti quindi di vederti messo in disparte rispetto a un tuo competitor.
- Le vendite dirette creano un canale di comunicazione privilegiato con il cliente. Questo consente di lavorare meglio sulla fidelizzazione o su tecniche di cross-selling o up-selling.
- I clienti per acquistare si iscrivono sul sito del brand, consentendo una miglior profilazione. Queste informazioni possono essere impiegate, ad esempio, per generare campagne di retargeting più efficaci.
Ora invece, proviamo ad adottare un occhio più critico, sottolineando alcuni rischi del D2C:
- Competere con giganti come Amazon ed eBay non è facile: molte persone li preferiscono, ad esempio perché non vogliono inserire la propria carta di credito su più siti. Si possono limitare i danni, usando sistemi di pagamento universali come Paypal o proprio Amazon Pay, ma non basta: i grandi store online sono il punto di partenza per lo shopping di milioni di clienti, non esserci potrebbe renderci invisibili.
- Pensiamo poi anche ai tempi di consegna: competere con gli eCommerce generalisti è davvero difficile. Sarà necessario puntare su altro per dare valore al cliente, come esclusività e opportunità di personalizzazione.
- Non avendo grandi rivenditori a “garanzia”, bisogna lavorare molto sulla propria credibilità, per tranquillizzare l’acquirente e porsi come un brand di livello e rispettabile.
- Ci sono responsabilità in più: marketing, sales e servizio clienti sono totalmente nelle mani del brand. Questo, di fatto, comporta anche maggiori rischi per la reputazione.
Come abbiamo visto, quindi, la vita dei brand D2C non è affatto facile. Forse anche per questo la parabola delle start-up D2C sembra seguire un percorso circolare: nascono D2C, si fanno un nome e poi spesso cercano maggiore stabilità iniziando ad appoggiarsi anche a rivenditori esterni. Questo perché un modello ibrido consente di ottenere il meglio da entrambi i mondi. È il caso di Jimmy Joy, un marchio di drink proteici chiamati “Plenny” che, dopo esser stato venduto esclusivamente online, è poi approdato anche nei supermercati Spar per ampliare ulteriormente il suo pubblico: il suo sito rimane il canale principale e più conveniente, ma grazie ai supermercati si è potuto far conoscere da un pubblico più ampio.
Come molti analisti dicono oggi, il D2C non deve essere solo un canale, ma un approccio mentale. Dobbiamo trarre il meglio dall’esperienza di questi brand, sapendo che la vendita diretta deve essere considerata un’opportunità, magari per testare l’impatto sul pubblico di un nuovo prodotto, ma non una religione da seguire fino in fondo.
Quindi, sapendo che il direct to consumer può avere qualcosa da insegnare proprio a tutti, anche ai più tradizionalisti, proseguiamo nella nostra analisi dei brand nativi D2C, perché di cibo per la mente qui ce n’è davvero molto.
La contro-rivoluzione dell’eCommerce: vendere un solo prodotto è tornato di gran moda
Ciò che accomuna molti dei brand che abbiamo già citato fino ad ora, è che molti di loro hanno iniziato vendendo un solo prodotto. Sembra poco, ma questa è una vera e propria contro-rivoluzione nel panorama delle vendite online. Prima dell’avvento di Internet, la maggior parte dei rivenditori poteva vendere poco, solo quello che poteva trovar spazio sugli scaffali. Questo li portava a far scorte di prodotti popolari, riducendo la disponibilità dei prodotti che potevano soddisfare solo una nicchia.
Nel 2004 Chris Anderson scrisse su Wired che con Internet le cose sarebbero cambiate: nell’eCommerce non ci sono problemi di spazio e, dato che il pubblico è globale, la famosa “coda lunga dei prodotti di nicchia” poteva diventare davvero interessante. Così oggi sul web i negozi di musica vendono milioni di dischi, i negozi di libri hanno a disposizione tutto lo scibile umano e così via. Tra tutti spicca Amazon, il “superstore infinito”, che mette a disposizione qualunque bene esistente al mondo, in unico “posto”.
In questa rivoluzione, i brand D2C sembrano voler cambiare le carte in tavola. Vendono magari un prodotto di nicchia, ma solo quello, affrancandosi dai superstore per dedicarsi anima e corpo alla valorizzazione di un unico modello. Questo ad esempio è il caso di Harry’s, un marchio D2C che è apparso online nel 2013, vendendo un solo modello di rasoio. Presentato come l’evoluzione della rasatura, Harry’s è di fatto un semplicissimo rasoio, senza orpelli, ma con lame perfette per le esigenze di gran parte delle persone- Altro punto di forza di Harry’s è l’abbonamento per la sostituzione periodica delle testine, che di fatto garantisce un risparmio sui competitor da supermercato e semplifica la vita a chi si dimentica spesso di acquistare testine di ricambio. Oggi Harry's vende prodotti da rasatura di ogni genere ma il rasoio è sempre quello e l’azienda è valutata oltre 1,4 miliardi di dollari.
Vendere una cosa sola è un modo per distinguersi dalla massa e attirare l’attenzione: il prodotto, nella sua unicità, può essere promosso come il migliore della sua categoria. Con così tanti competitor su Amazon, costruire la propria vetrina e la propria community intorno ad un unico “prodotto-feticcio” ne accresce il prestigio. In più questo approccio semplifica la vita al cliente, magari stanco di cercare un rasoio tra tanti… rivolgendosi al prodotto scelto da chi dei rasoi ha fatto la sua vita.
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Li chiamavano trinità: prima il cliente, poi la community e alla fine il prodotto
Quando si vendono prodotti semplici come un rasoio, una crema corpo o uno spazzolino, il mercato di riferimento è gigantesco. A tutti serve uno spazzolino, così come un rasoio. Dato che questi target sono davvero ampi, i brand dominanti hanno spesso una lunga storia e non è facile rivoluzionare il mercato.
Entrare con efficacia in questi settori, quindi, richiede spesso la creazione di un primo pubblico di ambassador, che sostenga il brand ai suoi albori e poi lo aiuti ad espandersi con il passaparola. I marchi D2C in questo sono bravissimi, perché lavorano proprio sulla creazione di una community e sulla viralità. Prima identificano il cliente, poi creano una community e solo dopo iniziano a vendere il prodotto. Per farlo spesso implementano uno storytelling efficace sulle proprie origini, o creano meccanismi coinvolgenti come l’accesso su invito o i referral program.
Sembra poco, ma è una guerra di Davide contro Golia. Questi brand nascono da zero e affrontano giganti del marketing dai budget immensi, con la sola forza del rapporto con la propria community. Spesso alcuni clienti si sentono talmente coinvolti da investire direttamente nel marchio ancor prima del lancio del prodotto, con operazioni di crowdfunding.
A far scuola in questo contesto è Rob Rinehart, creatore del marchio di alimentazione in polvere Soylent. Prima di vendere il prodotto stesso, Rineheart, ha condiviso con la sua community i suoi esperimenti per creare il pasto in polvere più bilanciato al mondo, mostrando ricette e tentativi più o meno riusciti. I follower in breve tempo si sono trasformati in sostenitori, finanziando la nascita di Soylent con un crowdfunding da 755mila dollari. Anche se oggi Soylent non è più solo una azienda D2C, è stato proprio grazie a questo modello di business che si è lanciata verso il successo attuale. Gli investitori sono diventati i primi promotori del marchio, ne hanno migliorato continuamente la formula e l’hanno promosso raccontando la loro esperienza in blog e forum.
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Non basta vendere: bisogna investire sulla user experience
Un focus fondamentale per tutti brandi D2C è la qualità. Fino ad ora abbiamo spiegato come spesso abbiano un portfolio prodotti esiguo, creando un senso di prestigio intorno al loro brand. Più importante del concetto di “qualità” è però l’esperienza vissuta dal cliente durante il processo d’acquisto, e ovviamente anche dopo il processo d’acquisto.
Molti marchi D2C investono in forme di acquisto continuativo o su abbonamento, oppure investono in un’esperienza personalizzata e tagliata su misura.
La semplicità dell’esperienza, la facilità di scelta, sono valori fondamentali per un cliente che si rivolge a questi brand: di fatto non vogliono scegliere tra mille prodotti, ma solamente rivolgersi alla realtà che considerano migliore per le proprie esigenze. In realtà molte di queste aziende non hanno una reale qualità superiore… ma hanno certamente una migliore user experience, perchè più completa e totalmente incentrata su un unico prodotto.
Avendo spesso un pubblico più ridotto, rispetto ai giganti, possono anche offrire un rapporto più personale e diretto, quasi come se fossero la versione online delle botteghe di lusso. Il produttore di pantaloni per uomo Bonobos, ad esempio, ha investito nella semplicità del suo sito e in una cultura della disponibilità totale per il cliente. Questo l’ha portato a raggiungere standard eccellenti: i “Bonobo Ninja” (così chiamano il customer care) richiamano tutti i clienti al telefono in 30 minuti e rispondono in 24 ore a tutte le email ricevute. Difficile aspettarsi una reattività del genere da Primark o altri giganti dell’abbigliamento.
Ubiquità e viralità: ingredienti fondamentali per il successo
Probabilmente uno dei vantaggi competitivi dei business D2C è che spesso sono letteralmente nati per il web. Essendo brand “nativi digitali” si adattano perfettamente ai media online, dimostrando una conoscenza del mezzo e del suo potenziale in tutto: dalla SEO ai social media.
Indipendentemente dalla strategia intrapresa, però, i più efficaci non si limitano ad avere un profilo social o investire in advertising, ma sanno rendere la tecnologia parte della user experience, anche in modi inaspettati. Citiamo ad esempio Dirty Lemon, un marchio d’acqua aromatizzata fondato da Zak Normandin nel 2015. A un prezzo di 10$ a bottiglia, Dirty Lemon non è certo un’acqua economica, usando ingredienti inusuali e inaspettati, che promettono benefici come la riduzione dello stress o delle rughe.
Inizialmente il brand ha ottenuto visibilità investendo molto negli influencer, assoldando attrici come Minka Kelly e la fashion designer Pia Baroncini. A fare la differenza però è il canale usato per acquistare l’acqua: per il primo anno di attività i clienti potevano ordinare l’acqua Dirty Lemon solo via SMS. Esatto, i cari vecchi messaggini del cellulare: pur sembrando desueta, questa tecnologia crea un rapporto personale e diretto, e questo espediente ha certamente generato curiosità nel pubblico di riferimento. Il modello è definito “eCommerce conversazionale” ed ha ottenuto risultati straordinari: il primo anno sono stati venduti più di due milioni di bottiglie d’acqua. Oggi Dirty Lemon non è più D2C e addirittura non ha un sito, vendendo solo su Amazon… eppure la strategia iniziale è stata fondamentale per avviare il business.
Gli SMS hanno consentito a Lemon Water di essere virale (tutti ne parlavano) e ubiquo, perché di fatto metteva un negozio nel cellulare dei clienti di tutto il mondo… bastava poter inviare SMS. Questo senza contare la possibilità di raccogliere dati, rimanere sempre in contatto e riconvertire chi magari si è allontanato per qualche tempo.
Che sia con gli SMS, o con altri pretesti, essere sulla bocca di tutti e sempre accessibili al proprio pubblico è qualcosa di importante, e sarebbero tantissimi gli esempi di D2C in grado di far scuola in questo ambito.
Una rivoluzione o un ritorno al passato?
La cosa sorprendente del mondo D2C è che, pur essendo completamente innovativo, ci riporta ai vecchi valori del mondo dell’artigianato. Un portfolio ridotto, un rapporto personale con il cliente, la cura e la personalizzazione, lo studio delle esigenze del mercato e la semplificazione dei processi d’acquisto. Quel che accadeva nelle vecchie botteghe ora si può fare anche sul web, con nuove tecnologie e con un pizzico di creatività e originalità. Allora questo è il segreto di questo settore, il ritorno a un rapporto privilegiato tra produttore e consumatore, che rimette al centro il cliente, l’esperienza e la creatività.
Durante l’emergenza Covid, poi, questo settore ha visto una crescita esponenziale. Molti produttori food, privati di canali tradizionali come ristoranti e bar, hanno creato il loro e-commerce con risultati più che rilevanti. Sodastream, ad esempio, è cresciuta del +1067% rispetto al 2019. Bindi, specialista dei dolci per la ristorazione, negli Stati Uniti ha aperto al cliente finale tramite vendita telefonica, utilizzando la propria flotta per le consegne a New York, parte del New Jersey e a Los Angeles. L’italiana Granarolo, ha attivato il suo canale per Bologna, Modena e Milano, portando il latte sotto casa esattamente come si faceva una volta. Anche questo ci fa capire che il D2C può riportarci a un passato di rapporti diretti tra produttore e consumatore, recuperando una relazione fatta di fiducia e fidelizzazione.
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